Il suo aspetto attuale prende forma per volere del duca Francesco I d'Este, che nel 1634 incarica l'architetto Bartolomeo Avanzini di trasformare l'antico castello di famiglia in una moderna dimora extraurbana per la corte. Pitture murali, decorazioni a stucco, sculture e fontane ancora oggi trasmettono il senso di questa "delizia" rimasta a lungo ai margini della conoscenza e della frequentazione pubblica. Dopo molti anni di amministrazione militare e complessi lavori di restauro, nel 2004 il Palazzo è definitivamente entrato in consegna del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Le origini dell’edificio si perdono nella leggenda e risalgono probabilmente al tempo di Matilde di Canossa. Nel XIII secolo è documentato come feudo della famiglia Della Rosa, fino alla conquista degli Este (1373): sarà proprio il marchese di Ferrara (poi duca) Borso d’Este a promuovere i primi lavori di conversione del maniero fortificato in residenza di corte, di cui si ricordano i perduti affreschi commissionati ad Agnolo e Bartolomeo degli Erri. Per tutto il Cinquecento, a seguito di una permuta di territori, l’edificio è dominio dei Pio di Carpi e vi lavorano artisti come Nicolò dell’Abate (nel perduto Appartamento di Orlando) e Domenico Carnevali (di cui sopravvivono lacerti di affreschi nella Camera della Cancelleria). Tornato possesso del Ducato estense, che nel frattempo aveva trasferito la capitale da Ferrara a Modena, il castello diviene una sede strategica per la nuova politica promossa da Francesco I d’Este, che ne attua la conversione in reggia barocca in parallelo alla trasformazione del castello estense di Modena nel colossale Palazzo Ducale di città. La squadra di artisti chiamati a lavorare dal duca opera una totale reinterpretazione degli ambienti in chiave di apertura alla luce e al paesaggio pedecollinare: le torri angolari vengono trasformate in terrazze panoramiche e la corte interna in uno spazio scenografico abitato dalla gigantesca divinità fluviale disegnata da Gian Lorenzo Bernini e Antonio Raggi, e aperto verso il borgo di Sassuolo attraverso arcate a tre fornici sfalsati che danno illusione di simmetria alla nuova facciata barocca dell’edificio. Sotto la direzione dell’architetto Avanzini e dello scenografo Gaspare Vigarani nascono invenzioni bizzarre come la Peschiera (il “Fontanazzo”) adiacente la piazza, e lavorano plasticatori e stuccatori come Lattanzio Maschio, Luca Colombi, Giovanni Lazzoni, che danno forma alle sculture dell’atrio, allo Scalone d’onore, all’Appartamento stuccato. Ma è la squadra dei pittori chiamati da Francesco I a raggiungere gli esiti più complessi e raffinati. Il Salone delle Guardie a doppia altezza è una superba macchina illusionistica inventata da due dei massimi specialisti italiani, Agostino Mitelli e Angelo Michele Colonna, per celebrare il mecenatismo degli Este nel campo delle arti, della letteratura, della musica e della storiografia. La Galleria di Bacco è un ambiente unico, decorato da quadraturisti (Gian Giacomo Monti e Baldassarre Bianchi) e specialisti di natura morta (Pier Francesco e Carlo Cittadini) per ospitare l’eccezionale ciclo di storie di Bacco affrescate da Jean Boulanger, il visionario pittore di corte. A Sassuolo Boulanger tocca i vertici della sua poetica, decorando anche gli Appartamenti del Duca e della Duchessa con la sua maniera classicista ricca di echi francesi e nordici, in piena simbiosi con la felice narrazione autocelebrativa della residenza estense. Il declino del Palazzo inizia con la sua requisizione in epoca napoleonica e quindi la vendita al conte d'Armazit de Sahuguet d’Espagnac, capitolo che segna anche l'inizio della dispersione sul mercato dei suoi arredi e collezioni (a cominciare dai marmi dei "Camerini d’alabastro" di Alfonso I d'Este, celeberrimi capolavori rinascimentali eseguiti da Antonio Lombardo per il Castello di Ferrara, poi a lungo conservati a Sassuolo e oggi finiti pressoché in blocco al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo). Nel 1917 il Palazzo diviene provvisoriamente una caserma, quindi sede della ditta Bellentani di lavorazione carni e insaccati. Tornato in mano pubblica, nel 1941 è destinato a sede sussidiaria della storica Accademia Militare di Modena, fino alla recente consegna al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
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