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Capua e il secondo anfiteatro romano pi& ...

  • Piazza I Ottobre, 36, 81055 Santa Maria Capua Vetere CE, Italia
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Description

L’anfiteatro campano di Santa Maria Capua Vetere, il secondo in ordine di grandezza tra tali tipi di monumenti nell’Italia antica dopo il Colosseo (m. 165 sull’asse maggiore, m. 135 su quello minore a livello dell’arena), fu innalzato tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. in sostituzione dell’arena meno capiente risalente ad età graccana, i cui resti sono stati individuati a Sud-Est. Della sua vicenda edilizia informa un’iscrizione dedicata da Antonino Pio, in parte conservata presso il Museo Provinciale Campano, nella quale si fa menzione dei restauri del colonnato e del nuovo arredo scultoreo fatti eseguire dall’imperatore Adriano. L’edificio, in genere adibito agli spettacoli gladiatori, presentava in origine i quattro ordini canonici (ima, media e summa cavea, attico) di spalti, accessibili attraverso scale interne ed esterne, impostati su altrettanti livelli di gallerie in opus latericium comunicanti, e si apriva in facciata con ottanta arcate realizzate in blocchi di calcare di uguale ampiezza ad eccezione di quelle poste in corrispondenza dei quattro punti cardinali, coincidenti con gli ingressi principali. Esse erano enfatizzate dalla presenza di semicolonne appoggiate ai pilastri in ordine tuscanico, come quelle in parte conservate all’entrata orientale. Le chiavi d’arco dei primi due ordini di archi della facciata erano arricchite da 240 busti a rilievo di divinità, tra le quali: Giove, Giunone, Demetra, Diana, Mercurio, Minerva, Volturno, Apollo, e Mitra, oltre a teste di Pan, satiri e maschere teatrali, nel terzo ordine; di esse se ne conservano solo 20 in loco, poche altre al Museo Archeologico Nazionale di Napoli ed al Museo Provinciale Campano, mentre la gran parte furono poi riutilizzate come materiali di spoglio. Il perimetro esterno della platea che circonda l’edificio, realizzata in blocchi di calcare in fasce concentriche, era delimitata da cippi lisci e scolpiti, di cui se ne conserva solo uno con l’immagine a rilievo d’Ercole sulla facciata verso l’anfiteatro ed un altro con Silvano sulla facciata esterna; tra i cippi erano installate transenne per separare il marciapiede dall’area circostante. Le gradinate della cavea erano rivestite in marmo e la summa cavea era sovrastata da un portico ornato con statue e colonne. Le parti ornamentali sono andate quasi tutte perdute ad eccezione di una Venere, il c.d. Adone ed il gruppo di Amore e Psiche; si sono invece conservati i plutei frontonali e le balaustre dei vomitoria (varchi di accesso agli spalti). I primi, collocati in origine sull’architrave della porta, mostrano scene mitologiche e di carattere commemorativo a rilievo; le altre, poste come corrimano ai lati degli ultimi scalini, erano scolpiti su entrambi i lati con animali esotici o con scene di caccia tra animali. Il piano dell’arena era costituito da tavoloni di legno cosparsi di sabbia per consentire lo svolgimento dei combattimenti, sotto ai quali si sviluppavano i sotterranei, comunicanti tra loro mediante corridoi ed accessibili attraverso quattro scalette presenti negli ambienti di servizio, ubicati dietro il podio ed utilizzati per i macchinari e gli apparati scenici. L’ingresso principale che consentiva di raggiungere i sotterranei e di condurvi le gabbie degli animali senza passare dai porticati è collocato invece sul lato occidentale. Sul lato orientale si trovava anche un condotto di collegamento ad una cisterna costruita in opus reticulatum, nella quale si raccoglieva l’acqua per la pulizia dei sotterranei. Al V-VI secolo d.C., inoltre, risale una cappella ricavata nella seconda navata a Nord dell’ingresso occidentale. L’anfiteatro nel 456 d.C. subì rovinose distruzione durante il saccheggio di Genserico, ma fu riparato nel 530 d.C.. Durante il dominio gotico e longobardo l’edificio continuò ad avere funzione di arena; poi, dopo la distruzione della città nell’841 d.C. ad opera dei Saraceni, venne trasformato in una fortezza. A partire dal periodo della dominazione sveva divenne cava di estrazione di materiali lapidei reimpiegati nella costruzione degli edifici della città. Parzialmente scavato tra il 1811 ed il 1860, fu definitivamente liberato dagli enormi ammassi di terra tra il 1920 ed il 1930, con numerosi successivi interventi di restauro conservativo nel tempo. Annesso all’Anfiteatro è il 'Museo dei Gladiatori' dove, con innovative soluzioni espositive, sono stati per la prima volta presentati al pubblico gli elementi superstiti della decorazione dell’Anfiteatro Campano. Nella prima sala, sulla parete di destra, sono state sistemate tre delle chiavi d’arco che decoravano l’esterno del monumento: una testa maschile con berretto frigio identificata con Mitra o Attis, una femminile con diadema (forse Giunone), una testa di Minerva con elmo attico ed il calco del busto del Volturno, il cui originale è conservato al Museo Campano. Al di sotto sono alcune iscrizioni onorarie con dedica agli imperatori Adriano ed Antonino Pio, provenienti dagli scavi dell’anfiteatro. Al centro della sala è stato collocato un plastico che riproduce lo stato attuale dell’edificio ed il suo aspetto originario. Nella prima vetrina è anche esposta una selezione di materiali ceramici rinvenuti nell’area dell’anfiteatro e frammenti scultorei pertinenti alla sua decorazione architettonica: mensole a testa di bue, un frammento di lacunare e parti delle balaustre in marmo che ornavano la cavea. Le teste di Ercole, di Athena con elmo corinzio, di Apollo e di una divinità femminile (forse Diana) appartenevano alle statue che ornavano le arcate dei piani alti Nella seconda vetrina sono stati esposti come esemplificazioni i calchi di armi gladiatorie rinvenute a Pompei: due elmi, una coppia di schinieri ed uno spallaccio. Il diorama posto tra le vetrina rappresenta un combattimento tra gladiatori e belve: sono riconoscibili il reziario, con rete e tridente, il secutor con elmo e corta spada, il trace con grifo sull’elmo e la spada ricurva (sica) ed il venator che affronta un leone. Nella seconda sala, con un originale allestimento che ripropone i gradini della cavea, è stata ricostruita per intero la decorazione di uno dei vomitoria (accessi alla cavea); sul fondo è collocato il rilievo con corteo di magistrati e littori, raffigurati nell’atto di entrare nell’anfiteatro per occupare i propri posti. Le balaustre laterali riproducono invece felini che azzannano la preda; altri frammenti di balaustre laterali raffigurano animali che paiono correre verso l’arena: gazzelle, orsi, elefanti, leoni. Frammenti dei plutei frontali sono collocati inoltre sulle pareti della stessa sala. Tra i temi rappresentati spiccano scene di sacrificio, una raffigurazione dell’anfiteatro in costruzione e scene mitologiche; in particolare si segnalano, sulla parete di destra, le imprese di Ercole (pulizia delle stalle di Augia, Ercole ed Anteo) e due frammenti con i Dioscuri. A destra dell’ingresso la punizione di Prometeo, il supplizio di Marsia, Marte e Rea Silvia, nonché un frammento con Menadi danzanti ed un altro con Apollo. A sinistra dell’ingresso si riconoscono altresì una scena con divinità turrite, la costruzione dell’anfiteatro, la raffigurazione di un recinto sacro, una scena di sacrificio per la dedicazione dell’anfiteatro. Sulla parete di sinistra scene di centauromachia ed Atteone sbranato dai cani. I caratteri stilistici dei rilievi, la scelta dei soggetti ed il modo di trattarli rispondendo ad un gusto fortemente classicheggiante indicano l’età adrianea come periodo di esecuzione delle sculture.

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