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Castello di Poppi

  • 52014 Poppi AR, Italia
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Palazzi, Ville e Castelli
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Italiano

Description

I primi documenti che attestano la presenza del sito fortificato di Poppi risalgono al 1191, ma si ritiene che sia stato edificato tra il IX e il X secolo in seguito alla disgregazione dell’Impero Carolingio. Fin dalle sue origini la storia del Castello è strettamente legata a quella della più grande famiglia feudale del Casentino che mise Poppi al centro delle sue grandi proprietà e abitò questo maniero per quasi quattrocento anni: i Conti Guidi. L'attuale architettura viene attribuita dagli storici al 1274, periodo in cui era al potere il Conte Simone di Battifolle che fece edificare la parte destra dell'edificio commissionandola all'architetto Lapo di Cambio. Il Castello ha una certa somiglianza con Palazzo Vecchio di Firenze, costruito in seguito da Arnolfo di Cambio, tanto da essere citato dal Vasari nell'opera "Vite de' più eccellenti architetti, scultori e pittori", quando ne descrive la costruzione, e meritare la definizione di alcuni esperti di “Prototipo” del palazzo fiorentino. Le scarse aperture presenti nella muratura che cinge il Castello sembrano essere originali. Fu poi costruito il recinto murato fortificato attorno alla torre dal quale si svilupparono gli altri edifici della fortificazione. Il complesso era dotato di due sole porte, una più grande rivolta a valle verso Ponte a Poppi con una ripida rampa di accesso, e una più piccola sul lato opposto verso la piazza d'armi. Dopo l'ultima grande ristrutturazione del Castello nel 1470 fu quest'ultima, con il nome di Porta del Leone, a diventarne l'accesso principale. Tale porta deve il suo nome ad un bassorilievo raffigurante un grande leone, realizzato da Baldassarre Turriani (1477), posto proprio sopra la sua apertura. Il Castello fu ampliato con la costruzione del blocco rettangolare posto sulla destra della torre. Questa era la primitiva struttura del Castello, adibita dai piani bassi verso l'alto rispettivamente a carcere, deposito e abitazione. Sebbene oggi sia unito alla torre da una cortina muraria, originariamente le due costruzioni erano staccate, collegate solo da ponti levatoi ai piani alti, per essere ognuna indipendente ed eventualmente a difesa dell'altra. Nel salone del piano superiore del cassero, oggi sede delle riunioni del consiglio comunale, fu redatta nel 1440 la resa dell'ultimo dei conti Guidi, Francesco, alla Repubblica Fiorentina. Quasi contemporaneamente fu iniziata anche la costruzione dell'altra ala del castello, dal lato opposto rispetto alla torre. All’interno del quale si venne a creare la corte interna che ammiriamo ancora oggi, ricca di stemmi in pietra delle famiglie fiorentine che svolsero il vicariato al Castello. Un altro grande intervento fu portato avanti dal 1470: interessò principalmente la corte interna con la costruzione della splendida scala in pietra di accesso ai vari piani dell'edificio e il recinto esterno. Fu scavato il fosso di separazione tra il Castello e la piazza d'armi e sulla cinta esterna fu eretta l'antiporta detta “Munizione”, a difesa della porta del Leone. La Munizione fu anche dotata di ponte levatoio, oggi scomparso. Il Castello era ormai uno splendido palazzo residenziale. L'ultimo restauro, che risale al secolo scorso, con il rifacimento di gran parte delle merlature e il restauro delle bifore ed altre parti della muratura, ha dato lo splendido aspetto odierno al Castello. Una curiosità che impreziosisce la storia del Castello è legata a Dante Alighieri, il quale vi soggiornò negli anni tra il 1307 e il 1311, e tradizione vuole che proprio a Poppi il sommo poeta abbia composto il XXXIII canto dell’Inferno della sua “Commedia”. Lo stesso Dante Alighieri prese parte alla celeberrima battaglia di Campaldino, combattuta tra Guelfi e Ghibellini poco distante dal Castello dei Conti Guidi. LA BATTAGLIA La battaglia di Campaldino, che si combatté poco distante dal Castello dei Conti Guidi sabato 11 giugno 1289, giorno di San Barnaba, tra l’esercito guelfo di Firenze e le milizie aretine appoggiate dalla feudalità ghibellina della Toscana centromeridionale, è una delle pochissime battaglie campali di grossa dimensione combattute in tutto il Medioevo nell’Italia centrale. La guerra nel Medioevo, contrariamente a quello che molti credono, fu molto raramente affare di grandi battaglie campali e fu invece piccola guerra, fatta di incursioni, saccheggi, colpi di mano, distruzione di raccolti (le cosiddette cavalcate), allo scopo di indebolire economicamente il nemico. Il fenomeno è chiaramente spiegabile. La dimensione demografica delle città italiane non era tale da consentire ai Comuni di formare, equipaggiare e mandare in combattimento grandi eserciti e questo è ancora più vero per le milizie feudali che i signori del contado opposero all’espansione cittadina. La battaglia di Campaldino costituisce un’eccezione a questo schema, dal momento che le parti combattenti furono in grado di mettere in campo quasi 20.000 uomini. La città aveva mobilitato tutte le sue risorse militari, offrendo un’immagine chiara di come si muovesse, si schierasse e combattesse un esercito comunale alla fine del XIII secolo. A guidare l'esercito fiorentino, rinforzato da reparti provenienti da molte città toscane guelfe, c'era il provenzale Amerigo di Narbona affiancato sul campo dal cavaliere Guillaume de Durfort, mentre le fila aretine erano schierate sotto le bandiere di Guglielmino degli Ubertini, vescovo di Arezzo, insieme a quelle di Bonconte da Montefeltro e altri ghibellini di Toscana. L'obiettivo dei fiorentini era quello di giungere ad Arezzo attraverso il Casentino, invece che dal Valdarno, in modo da prendere di sorpresa le fila ghibelline. La battaglia fu cruenta, metà dell'esercito aretino cadde sul campo, tra cui Bonconte, il vescovo Ubertini e il portastendardo dell'Impero, il Conte Percivalle, e molti furono i prigionieri condotti a Firenze. Questa battaglia, combattuta con una strategia nuova per gli scontri militari dell'epoca, è divenuta presto un simbolo dell'immaginario collettivo dei toscani. Proprio per la sua eccezionalità, questo fatto d’armi risulta perciò prezioso per studiare e comprendere lo strumento e l’organizzazione militare di una grande città come Firenze, al culmine della fase comunale.

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